Wild West Show
testo di Fabio Fassio
con Massimo Barbero, Patrizia Camatel, Dario Cirelli, Fabio Fassio e Elena Romano
scene di Francesco Fassone
costumi di Roberta Vacchetta
luci di Marco Alfieri
consulenza musicale di Matteo Ravizza
regia video di Diego Diaz
foto di Piermario Adorno
regia di Elvira Frosini e Daniele Timpano
durata dello spettacolo: atto unico di 60'
GALLERY
SINOSSI
Un gruppo di attori insegue il sogno di mettere in scena “l’ultimo mito dell’occidente imperialista e trionfante”: il west.
“…Il nostro West asciutto e scarno sarà la sublimazione ascetica di ogni possibile West! Riusciremo, alla fine, con niente, a dimostrare ancora una volta l'ontologica superiorità del qui e ora…”
Ma perchè? “Perchè gli americani rappresentano il mito, ma noi ce l’abbiamo dentro” (cit. Pierfrancesco Favino)
È la storia di un viaggio mitico, prima alla ricerca del west, tra attacchi alla diligenza, duelli, massacri e poi in fuga da Ringo, il pistolero dagli occhi di ghiaccio, una sorta di allucinazione di giustiziere che ammazza sempre gli innocenti. Inseguimento e fuga, carnefici e vittime, il destino di noi democratici.
La rincorsa al west si interompe bruscamente davanti a un cratere, nebbia, fumo, rimane soltanto la tomba di John Wayne e non resta da cercare che la propria identità incerta, forse meschina, senz’altro insufficiente.
Il west non c’è più e noi non ci siamo ancora trovati…
NOTE DI REGIA
"Ma come cosa stiamo facendo? The Wild West Show! Un grande spettacolo sull'origine di tutto". Nel febbraio del 1890 giungeva in Italia, preceduto da enormi campagne pubblicitarie, con una carovana di 59 vagoni ferroviari, il più grande spettacolo cialtrone di tutti i tempi: il “Wild West Show” di William Frederick Cody, in arte Buffalo Bill.
Centinaia di comparse, artisti, cavalieri, nativi americani, bisonti, cavalli, supportati dai mezzi tecnici più all’avanguardia del mondo. Ed è subito West! Grandiosità, spettacolo, mito.
Un esercito di 5 uomini (se ci son donne non conta), mette in scena l'ultimo mito dell'Occidente imperialista e trionfante, quello americano. Il West.
Uno spettacolo sull’inevitabile presenza dell’immaginario western nelle nostre vite, nei nostri ricordi, nel quotidiano: in noi. Near West, il Vicino Occidente. O Here West, il qui, il noi siamo qui, il noi siamo Occidente (e loro presumibilmente Oriente).
Una galoppata folle alla ricerca del west, all’inseguimento del mito, alla ricerca di una identità appiccicata addosso come una camicia di flanella sudata. Qualunque cosa può succedere da un momento all’altro, qui, nel West.
Il West ci attende. Go west!
FOCUS
Il West come avevamo imparato ad amare, quello in cartapesta e celluloide, non esiste più. I cinque avventurieri sullo sfondo di una scena minimale (solo uno schermo fluorescente a evocare canyon e pianure) inseguono gli stereotipi del cinema western in un’illusoria saga a episodi narrata per inquadrature e si agitano forsennatamente con la fissità imperturbabile degli automi.
Le ombre rosse, gli assalti alle diligenze, i pony express, i bivacchi intorno al fuoco, le musiche di Morricone, i risvegli in prigione, i duelli, gli scalpi e il piombo caldo: sono tanti gli “incidenti” narrativi da cui questi sgangherati cowboy entrano ed escono senza sosta aprendo infiniti squarci sulla realtà di oggi.
«Ci hanno scippato i sogni! Ci hanno tolto il West!» lamentano i cinque (anti)eroi.
Ma chi l’ha rubato davvero? Chi ha preso la terra dove i sogni di ogni uomo diventano realtà? Se lo sono portati via i pregiudizi patologici, che l’hanno trasformato in quel territorio di nessuno sempre più simile al nostro presente, dove se ti difendi con la pistola dall’aggressione di un malvivente, o una particolare questione non risulta regolamentata da una delle migliaia di leggi in vigore, la metafora del far west fuori controllo è dietro l’angolo.
Il far west l’hanno rubato anche i luoghi comuni sedimentati nel tempo da quando gli italiani hanno cominciato a farsi ipnotizzare dal faccione bianco di John Wayne o dalla mira infallibile di Clint Eastwood: «il West è l’estetica della sporcizia», «i western sono tutti uguali, come le canzoni di Ligabue», «Bud Spencer mi ha rubato il Tempo delle mele».
Valentina Crosetto, Scene Contemporanee
RECENSIONI
“(…) In poco più di un’ora la compagnia compie una vera cavalcata non solo in un genere narrativo, per lo più cinematografico, che ha segnato l’immaginario di varie generazioni, ma le generazioni stesse.
(…) Lo spettacolo è una cavalcata nella prateria desolata del teatro contemporaneo, perlomeno quello italiano, una scena da cui stanno scomparendo inesorabilmente le figure e i modi riconoscibili (i cow boy) e si sta navigando a vista (il polverone, la nebbia) e con fatica. Ma c’è ancora un po’ di selvaggio West, per cui i pistoleri non mancano in questo ambiente. Ed è forse per questo che gli Acerbi si sono alleati con una tribù di scout indiani niente male, nientemeno che Elvira Frosini e Daniele Timpano, attori, autori e registi, protagonisti della scena romana (anzi considerati la Nuova Scuola Romana). Sono portatori di un linguaggio apparentemente svagato e anarchico, ma comunque rigoroso, a volte ruvido e spigoloso, con una peculiare tendenza all’assurdo.
Per questo la comicità spesso risulta glaciale (come una notte passata all’addiaccio senza coperta), o disperata (ma siamo in tema). Non proprio cabaret televisivo, insomma, ma qualcosa che per ora pochi hanno già visto. E che riesce ad allearsi al testo di Fabio Fassio, il quale a sua volta ha cercato di tenersi lontano dalle tentazioni sociologiche, mettendosi in gioco fino all’ultimo, evitando al contempo gli stereotipi più ruffiani.
I nostri eroi, o Mucchio selvaggio se volete (Massimo Barbero, Patrizia Camatel, Dario Cirelli, Fabio Fassio ed Elena Romano), hanno compiuto uno sforzo notevole, compiendo un salto evolutivo nel loro linguaggio teatrale, che potrà aprire loro i sipari di molti teatri italiani. Anche alle prese con territori finora non esplorati, sostengono il ritmo e lo spettacolo non pesa anche quando le metafore possono apparire più semplici e frequentate.
La scenografia di Francesco Fassone è di un’essenzialità quasi zen, con qualche concessione al colore proiettato sul fondale (le luci sono di Marco Alfieri). Idem per i costumi di Roberta Vacchetta, con richiami a certo western disincantato, ma lasciando i nostri in abiti attuali, dimessi, o anche in mutande.”
Carlo Francesco Conti, La Stampa
“Il testo, nelle mani di Frosini e Timpano, assume un andamento torrenziale dove tutto appare, dove le citazioni si moltiplicano e il mito si confronta con il presente e l’assente.
Cinque attori, privi di ogni apparato scenico, cavalcano alla ricerca di ciò che dal cinema ci è stato trasmesso del far west, ripercorrendo stereotipi, sequenze cinematografiche e menzionando personaggi e luoghi comuni.
(…) Si ride molto di fronte ad un’interpretazione sostenuta da un ritmo serrato, da una gestualità forsennata e da una sintonia di insieme che ricrea immagini che si sovrappongono. (…) Massimo Barbero, Patrizia Camatel, Dario Cirelli, Fabio Fassio e Elena Romano divertono dall’inizio alla fine dando vita ad un testo multiforme, che parte da vissuti personali (di loro stessi, che per primi si sono confrontati con i loro ricordi legati ai western) e illumina su un atteggiamento mentale comune. Dal particolare alla società, dal passato all’oggi e dall’immaginario al reale: tanti i piani su cui gioca lo spettacolo, in un tutto organico che fluisce grazie alla perfetta intesa dei protagonisti sul palco, ad un testo intelligente e a tempi comici perfetti.”
Nicoletta Cavanna, teatro.org
“La mano di Frosini/Timpano sul lavoro efficace ed eversivo del Teatro degli Acerbi si percepisce nella sospensione drammatica che minaccia perennemente l’azione.”
Valentina Crosetto, Scene Contemporanee
“Sempre meno «acerbi» con la continua capacità di rinnovarsi, mettersi in gioco e misurarsi con nuove esperienze artistiche.
…la storia di un viaggio mitico, alla ricerca del west, ma anche alla ricerca della nostra identità. Uno spettacolo travolgente, tra momenti di grande intensità emotiva e parentesi che suscitano divertimento fino alle risate tra il pubblico. Dagli attacchi alla diligenza ai duelli, massacri e poi la fuga da Ringo, il pistolero dagli occhi di ghiaccio. Impareggiabile la rappresentazione della cavalcata che gli attori sanno riprodurre in scena; come magistrale è l’intermezzo del saloon riletto in chiave “ballo liscio” tutto italiano.
(…) Chi siamo? La domanda emerge una sola volta nell’intero spettacolo, ma essa rappresenta il suo filo conduttore.”
Marta Martiner Testa, La nuova provincia
"Cinque creature su un palco spoglio poiché pronto ad accoglierne sogni e visioni (...)
Il testo di Fabio Fassio assorbe con entusiastica ed efficace diligenza quella vena ironicamente surreale e stralunata – ma, proprio per queste qualità incisiva nel rispecchiare contraddizioni e fragilità del nostro contemporaneo – che contraddistingue il particolare linguaggio coniato dalla coppia Frosini/Timpano.
Ecco, allora, che regia e testo, anziché collidere, percorrono una medesima strada, lastricata da sipari sovraeccitati e frenetici, monologhi di soffusa disperazione ovvero cieco entusiasmo, momenti di sconforto scacciati dalla rinnovata speranza di giungere presto in quel regno di Bengodi cui l’umanità da sempre aspira…
Un viaggio a perdifiato, all’insegna di quelle magnifiche sorti progressive che – implicitamente, con l’arma efficacissima di un’arguta e “pesantemente” spensierata ironia – i generosi attori degli Acerbi e Frosini/Timpano sanno condurranno a un nuovo, inevitabile, disastro…"
Laura Bevione
Questo spettacolo è realizzato nell'ambito del progetto